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G. Reale, L'acquacoltura nell'ordinamento giuridico italiano, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002 (pp. 316) 


Dopo l'entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 102, e la sostituzione dell'originario testo dell'art. 2135 c.c. sull'imprenditore agricolo con la nuova formulazione introdotta dal d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, la discussione sulla natura giuridica dell'acquacoltura appare ormai sopita a tutto vantaggio della tesi favorevole alla qualificazione in senso agricolo. Prima della soluzione legislativa, invece, la questione era tutt'altro che pacifica. In un contesto caratterizzato, per lungo tempo, dalla mancanza di una esplicita previsione normativa, dall'intreccio delle opinioni formulate dalla dottrina e dalle divergenti soluzioni fornite dalla giurisprudenza, anche l'acquacoltore finiva per rimanere disorientato, con notevoli ripercussioni di segno negativo sullo sviluppo economico del settore. Il volume analizza le ragioni che sono alla base della crescita dell'acquacoltura moderna, con particolare riferimento al nostro Paese, ed individua altresì gli elementi che, per un certo periodo, ne hanno invece ostacolato Io sviluppo. Viene ripercorsa, quindi, attraverso l'esame delle molteplici opinioni espresse dalla dottrina ed attraverso le motivazioni offerte dalla giurisprudenza in argomento, la controversa questione dell'inquadramento giuridico dell'attività di allevamento degli organismi acquatici, la cui risoluzione, almeno fino all'entrata in vigore della legge n. 102/1992, aveva diviso dottrina e giurisprudenza, in parte favorevoli all'inquadramento della materia tra le attività commerciali ed in parte, invece, orientate verso l'inquadramento della stessa tra quelle agricole, con tutte le evidenti conseguenze in ordine alla disciplina giuridica applicabile. L'indagine condotta, inoltre, è supportata dall'analisi, spesso conclusa in chiave critica, delle specifiche argomentazioni poste a sostegno delle varie tesi. Un altro aspetto al quale il volume dedica ampio spazio è quello concernente il rapporto, spesso controverso ed a volte conflittuale, tra la pesca e l'acquacoltura che è analizzato attraverso l'esame dell'evoluzione, anche storica, della complessa normativa in materia di pesca, tra codice della navigazione e legislazione speciale. Questo approccio metodologico consente l'enucleazione di una serie di argomentazioni che conducono ad alcuni importanti risultati, quali l'individuazione dei diritto della pesca, il suo oggetto, la sua latitudine, che viene estesa non solo alla cattura ma anche all'allevamento e, soprattutto, il suo inquadramento sistematico, in riferimento al quale si perviene criticamente a conclusioni non collimanti rispetto alla tesi tradizionale emersa in precedenza nella dottrina prevalente. Le conclusioni raggiunte sono poi esaminate alla luce del d. lgs. 18 maggio 2001, n. 226, nell'ambito del quale spicca sia la novità legislativa costituita dalla definizione di imprenditore ittico che la sua equiparazione, quanto al regime giuridico applicabile, all'imprenditore agricolo. In tal modo, appaiono superate alcune delle problematiche che gravitavano attorno alla controversa qualificazione giuridica dell'impresa di pesca, che si riflettevano poi, in concreto, sull'incerto regime giuridico applicabile a tale figura imprenditoriale.

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